Quaresima Missionaria 2011

Ecco l'agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo!

Durante la Quaresima la preghiera intorno alla tavola sia anche un’occasione di riflessione familiare intorno ai consumi domestici, in particolare all’uso del cibo.

La Quaresima è il tempo in cui siamo invitati ad aprire il nostro cuore e i nostri occhi sulle realtà lontane ed estremamente povere in cui operano i nostri missionari.

È con i fratelli più deboli e indifesi, bisognosi ed emarginati che dobbiamo imparare a spezzare il pane, a compiere concreti gesti di aiuto e solidarietà.

Il Giovedì santo faremo memoria, con tutta la Chiesa, di un pane spezzato e condiviso, segno di un amore infinito e misericordioso, capace di offrirsi tutto fino alla morte e di rioffrirsi, per sempre, nella Resurrezione.

Che ciascuno di noi trovi il tempo di meditare e contemplare tanto amore affinché sia sempre modello di ogni nostra azione, in particolare di ogni azione educativa.

Vescovo Francesco Beschi

Incontri Giovani

Oratorio di Brusaporto

Venerdì 4 marzo ore 21.00
IL FASCINO DELLE MISSIONI: confronto e approfondimento sui luoghi lontani e vicini.
Uno sguardo specifico alle missioni diocesane.

Venerdì 18 marzo ore 21.00
MIGRANTI E MIGRAZIONI: lo sviluppo delle relazioni in un progetto di vita che cambia.
Racconto di storie migranti.

Venerdì 25 marzo ore 21.00
DIRITTI E POVERTÀ: uno sguardo a 360° sui drammi contemporanei
Confronto a ruota libera sugli aiuti umanitari e le azioni concrete dei progetti

Venerdì 8 aprile ore 21.00
TAVOLA ROTONDA
IN MISSIONE! Esperienze di viaggio e desiderio di impegno.

Cammino Quaresimale

Seriate 

Comunità di speranza: la Chiesa!
Perché non fare diversamente?
Una riflessione sulla trasformazione della chiesa e, alla luce della Parola di Dio, il suggerimento di alcune vie possibili.

10 marzo
Ai pellegrini… grazie a pace.
1 Pietro 1,1-2.13-16
In cammino nell’esperienza della parrocchia che vive nel mondo.
Meno recinti, più spazi aperti.

17 marzo
Voi siete…oggetti di misericordia.
1 Pietro 2,1-10
Una parrocchia che vive del mistero stesso di Gesù.
Meno moralismo, più umanità.

24 marzo
Buoni amministratori della multiforme grazia di Dio.
1 Pietro 4,7-11
La dimensione del servizio somma dell’amore.
Meno alleanze con i poteri, più opzione preferenziale per i poveri.

1 aprile
Benedite… affinchè possiate ereditare la benedizione.
1 Pietro 3, 8-21
Un impegno che diventa liturgia.
Meno richieste di grazie, più azione di grazie.

7 aprile
Credenti nella sofferenza.
1 Pietro 4,12-19
Segnati dalla giustizia di Dio.
Meno paure, più speranze.

14 aprile
Resistete saldi nella fede.
1 Pietro 5, 6-14
La parrocchia estroversa ancorata al mistero di Dio.
Meno proselitismo, più missionarietà.

Strizza l'occhio - Speciale Quaresima

All'orizzonte la croce

“… anche se ora dovete essere, per un po’ di tempo, afflitti da varie prove…”: è Pietro, la roccia, che si rivolge ai “pellegrini della diaspora” per incoraggiarli nella fatica della fede.
Sembra proprio che Pietro abbia uno sguardo che arriva fino a noi. Nella prova ci siamo anche noi. Una Chiesa che appare vacillante al suo interno, segnata dalla fatica della fedeltà e dal pericolo di lasciarsi trascinare nel vortice del potere, una chiesa che si riduce spesso a minoranza ed al suo esterno subisce attacchi anche violenti e senza misura. La chiesa della persecuzione è quella che abita il cuore di Dio in pienezza e paga ” a caro prezzo” la responsabilità della testimonianza.
La fede cristiana non è una passeggiata, non è intrattenimento per donne facoltose ed intellettuali perdi tempo che, stravaccati in qualche poltrona dei talk shows, dibattono il sesso degli angeli o i tempi della parusia.
La vita cristiana è intrisa di sudore, è risposta tenace e fedele ad una chiamata, è  benedizione in un contesto di violenza e superficialità.
L’incomprensione è da mettere in conto, non perché vogliamo essere degli eroi ed abbiamo uno spiccato spirito si sacrifico, ma perché Gesù stesso è stato “segno di contraddizione”.
La croce, che si staglia all’orizzonte di ogni esistenza, è inevitabile. È la prova che la vita cristiana è vera, incarnata, concreta.
“Pace a tutti voi che siete in Cristo!”: è ancora Pietro che si congeda dalla comunità perseguitata. È ancora una volta per noi.
La pace ci accompagni in questo tempo di quaresima e ci aiuti a guardare oltre… immersi in un mistero di umanità che, proprio attraversa il nostro cuore, le nostre mani, la nostra vita si fa storia. E il deserto rimane sullo sfondo.

don Giambattista

La Parola che provoca

La consegna di Gesù ai suoi è ineludibile: “strada facendo predicate il Vangelo!” (Mt.5,7). Non c’è ombra di dubbio, la consegna è esplicita, c’è una parola che deve essere annunciata, non può essere taciuta, resa afona, annientata. È una Parola che ha la forza di trasformare la vita. Parola che chiama alla conversione.
Ed è una Parola incontenibile. Corre per il mondo, perché nulla riesce ad incatenarla. Si serve di testimoni, semplici, quotidiani, immersi nella storia.
Ed è una Parola urgente. Troppi uomini non conoscono ancora l’annuncio, non hanno ancora sentito raccontare “le opere ammirevoli di lui, che vi ha chiamati alla sua luce meravigliosa”. (1 Pietro 2,9)
La missio ad gentes è più che mai attuale. Non riguarda solo i missionari doc e le “terre di missione”, ma chiede di abitare anche le famiglie, di percorrere le strade dei nostri paesi e, ne sono convinto, di condividere persino gli spazi della parrocchia e dell’oratorio.
La missio ad gentes è consapevolezza nuova di essere parrocchia, è realtà di una chiesa estroversa, che cammina per il mondo, libera da ogni bramosia di potere, e sceglie di curvarsi a sollevare chi è caduto, ad accompagnare chi rimane indietro, a spendere la sua ricchezza di umanità per la giustizia e la pace.
Una chiesa così non è un sogno, ma è una chiesa missionaria. L’ideale si è “fatto carne” e la Parola continua a ripetercelo.
Forse un po’ sordi siamo perché il mondo invoca come con un groppo alla gola e la chiesa si rinchiude in sacrestia, nelle sue quattro certezze, tra incensi e fiori.
La missio ad gentes ci sorprende e ci rinnova. Fidatevi!

don Giambattista

Un cuore senza confini

La globalizzazione ci perseguita su tutti i fronti. È una scommessa rispetto ai protezionismi, ai provincialismi ed ai rigurgiti di leghismo che si manifestano nel mondo intero con le forme più svariate e talvolta con violenze inaudite. È un’opportunità preziosa quando si tratta di imparare a valorizzare lo specifico di ciascuno a servizio del bene comune, quando attraversa l’economia portando con sé una più equa distribuzione delle risorse, quando fa appello alla promozione umana per riconsiderare la storia degli impoveriti della terra. È, anche dal punto di vista ecclesiale, un’ulteriore sottolineatura della dimensione universale dell’annuncio e della cattolicità della Chiesa.
Non possiamo però nascondere rischi e tentazioni. I poveri sempre più poveri, l’economia sempre più concentrata nelle mani di pochi, l’oblio dei diritti fondamentali e più naturali da riconoscere a ciascuno a beneficio del profitto, del consumo e di un presunto benessere, per citarne solo alcuni.
Una lama a doppio taglio, dunque, capace compromettere il desiderio di mondialità che vorremmo respirare a pieni polmoni per rendere pacifico il futuro del pianeta terra.
Gesù ha calcato la terra di Palestina rendendola mondiale con quello sguardo che incrocia l’uomo ed i suoi bisogni nella profondità del cuore. Il racconto della vita non può che essere “mondiale” perché riporta alla sorgente, all’identità di un uomo che è creatura, pensiero ed azione di Dio.
La mondialità non è un sogno, ma realtà che sconfina nell’umanità!

don Giambattista

Mondialità…

Il dialogo che incontra

Un insieme di gesti e parole si infrangono giornalmente contro la storia di ognuno senza interruzione, quasi senza alcun rispetto. Diversamente la condanna sarebbe all’isolamento, alla solitudine. Trasformare un bombardamento in melodia sembra quasi impossibile, ma è irresistibile la tentazione di lasciar emergere un certo tipo di ordine che, modulando suoni e percussioni, renda possibile la comprensione e l’utilizzo di un linguaggio. È una sfida che, dalle parole agli atteggiamenti, coinvolge inesorabilmente economia, politica, vita sociale ed ecclesiale.
Tutto dipende dall’individuazione di un alfabeto che metta in comunicazione parole, gesti, atteggiamenti, creando così la possibilità del dialogo. Le sorti dell’umanità sono legate a questa capacità che apre la strada ad una convivenza pacifica, ad una ricerca costruttiva di relazioni, ad un esperienza significativa di condivisione. Il bagaglio delle culture, delle tradizioni e dei vissuti trova in questo alfabeto concretizzazione e futuro. Lo stesso linguaggio della religione, il desiderio di Dio, l’esperienza della fede, hanno bisogno di un comune terreno di incontro per non abbandonarsi ad integralismi e ridursi ad esortazioni moralistiche assolutamente lontane dal quotidiano.
Proprio uno spazio di comprensione condiviso porta all’incontro delle culture, al riconoscimento delle identità, alla valorizzazione delle specificità.
E non per portar l’acqua al mio mulino, ma anche in questo il Vangelo dimostra tutta la sua attualità, la sua capacità di entrare nel profondo dell’animo umano per far emergere il dono positivo della creazione che conduce l’uomo in sentieri di libertà e di rispetto, di pienezza ed eternità.
La missione tutto questo lo porta con sé!

don Giambattista

La missione che coinvolge

Più o meno convinti siamo andati a catechismo: la tappa era quella dei sacramenti dell’iniziazione. È interessante che ci siano itinerari, incontri: nel battesimo si coinvolgono i genitori, nel matrimonio sono gli stessi promessi sposi che si mettono in gioco e così via per gli altri sacramenti.
Prezioso il contributo di tutto questo con il rischio che qualcuno pensi sia il “prezzo da pagare” per ricevere i sacramenti e, soprattutto, l’illusione che possa bastare per vivere da cristiani.
Uno zainetto di fede preparato con cura alla tenera età della messa di prima comunione non è certamente sufficiente per affrontare gli scossoni dell’adolescenza, le scoperte della giovinezza e la turbolenza delle scelte di vita.
La fede cristiana senza dialogo con la vita muore, si riduce a cose da fare, regole da osservare, strutture da mantenere, servizi più o meno utili da compiere. È dalla dinamicità della fede che si origina la dimensione della missionarietà.
Una fede incontenibile, una consapevolezza nutrita dalla Parola e dalla vita sacramentale, una ministerialità che attraversa il quotidiano, fanno costantemente riferimento ad una missionarietà che appartiene, come un germe, proprio a tutti i credenti in forza del Battesimo ricevuto.
Nessuno può tirarsi fuori da questo continuo movimento di “mistero” che avvolge l’esperienza della vita e la rende davvero contagiosa, missionaria appunto. Non esiste davvero un confine geografico alla missione perché si realizza proprio tra le pareti di casa nostra, nel contesto della parrocchia, nel diversi ambiti di vita di ciascuno. Fiore all’occhiello sono i missionari doc, quelli che con tutta la vita ci ricordano l’urgenza di portare il Vangelo ovunque, nella predilezione dei poveri e degli ultimi. Ad gentes rimane l’orizzonte e meravigliose figure di testimoni tempestano gli occhi!

don Giambattista

La carità che rinnova

Una fantasia bizzarra ruota attorno alla carità, una capacità incredibile di piegarla a bisogni ed aspirazioni, una spiccata intraprendenza da management per risolvere problemi ed accalappiarne possibili vantaggi. Questo il volto consumistico e commerciale di una qualità tanto importante da rientrare nelle “virtù teologali”.
È su questo fronte che preferisco giocarmi consapevole di quella quantità di mistero che unica da consistenza e credibilità ad ogni gesto di carità.
Nel mondo della solidarietà si rincorrono cooperazione internazionale, aiuti umanitari, accordi economici; si cimentano le grandi istituzioni governative e non, il fondo monetario internazionale e le fondazioni benemerite; si affacciano, talvolta con titubanza, ma altre volte con una certa pretenziosità, anche gruppi ed associazioni più “artigianali”, nate per il sostegno ad un amico missionario, piuttosto che ad un intraprendente autoctono che in un viaggio di fortuna ha scoperto benefattori generosi. E il mondo della solidarietà è davvero un pozzo di san Patrizio. Certamente: nel senso buono.
Una terra come la nostra, con i suoi provincialismi e leghismi ormai dichiarati, non è certo immune da quella che, nella più assoluta gratuità, possiamo davvero chiamare “carità”. Una tradizione che si perde nella notte dei tempi e che alla sua origine ha avuto il cuore della carità: la persona. Sono diventati testimoni e strumenti di carità uomini e donne pronti allora a viaggi perigliosi per raggiungere l’altra parte del mondo, oggi a percorrere migliaia di chilometri in un breve spazio di tempo nell’impatto assoluto con culture e tradizioni diverse. Nel tempo anche l’aiuto economico si è fatto più forte, intenso, incisivo, talvolta ha persino preteso di prendere il posto delle persone. Una tentazione anche della Chiesa.
Ma la carità, quella vera, là fa davvero da maestra. Traccia sentieri d’incontro e possibilità di dialogo, fugge dai luoghi comuni e dalla cupidigia del rendiconto, scrive pagine di profezia e di futuro. E cammina sulle strade del quotidiano.
C’erano tre zittelle, e ormai avanti negli anni, che avevano il chiodo fisso della carità: dividevano in due la pensione, perché una metà fosse per le missioni. Della metà rimanente una buona metà era per il seminario. Quanto restava serviva per far celebrare le Messe per i defunti, qualche piccolo bisogno e poi… l’offerta alla questua in chiesa! È così che si moltiplica la carità, con il cuore; è così che uno stile lascia il segno nell’esperienza di chi ti incontra e realizza la missione.
Moltiplichiamo senza limiti ogni carità per rinnovare il mondo, crediamo ancora una volta che ne vale la pena, che non possono vincere egoismi ed indifferenze, che ci compete la responsabilità della profezia attraverso la testimonianza della fede.
E la carità vive in Dio!

don Giambattista

La vita che si offre

Da un barcone all’altro si rincorre l’attesa di una vita nuova. Illusione? Pretesa? Inconsapevolezza? Violenza?
Da dove nascano queste migrazioni e da quali cause siano provocate non è così importante per l’opinione pubblica tampinata da paure indotte e luoghi comuni di una banalità impressionante.
Nella confusione dei volti, nell’oscurità dell’identificazione, nell’ufficialità del momento è facile che i contorni delle persone svaniscano, che predomini il criterio dell’efficienza, che prevarichi la garanzia istituzionale. Il “dramma” della persona passa in secondo piano, perché angosce e pregiudizi prendono il sopravvento e ci si scopre terribilmente egoisti. Eppure pensavamo di avere raggiunto un grado di civiltà e convivenza capace di garantire luoghi come disponibilità, accoglienza, partecipazione. Un paese civile, una società progredita, una convivenza umana segnata da tratti di responsabilità e, talvolta, anima cristiana: questa certezza è sbandierata dai colori più diversi dei partiti. Certo, la concretezza è estremamente articolata.
Di fatto è sul volto che si fissa il nostro sguardo nella domenica di Pasqua. Il volto del Risorto si presenta nella pienezza della luce. L’incertezza dei discepoli nel riconoscere il volto di Gesù, il bisogno di vedere i segni dei chiodi e la piaga del costato, mostrano come la verità della fede fatica a farsi strada nella fragilità del proprio interesse. Sarà nella scoperta di non appartenersi più che i dodici potranno affrontare, da apostoli tutti d’un pezzo, l’impegno della missione, la sequela senza condizioni.

Il volto del vicino, il suo sguardo e la sua ricerca, diventano invito a tracciare il segno della testimonianza. Una fede che parla, agisce, sceglie, impegna, offre: è la mulattiera che dal cenacolo raggiunge in fretta il luogo della sepoltura. Dove la vita non c’è più, dove le parole sembrano risuonare invano, ma dove continuo ed incredibile è il flusso della luce. Quando ti inginocchi davanti a quella pietra che la tradizione ci ha consegnato come il luogo del riposo del Cristo morto diventa impossibile resistere alla forza del discepolato.
E il volto si illumina, capace di offrire un sorriso, uno sguardo, un istante di carità, un frammento di eternità.
Sceso dal “barcone” Cristo Risorto si affida alla tua vita.
E l’attesa ha il sapore della missione, proprio quella dei missionari doc che della Pasqua hanno fatto una ragione di vita.
Buona Pasqua!

don Giambattista

Pasqua 2011