Missionarietà fa rima con… Coniugalità
4 luglio 2020
Don Massimo Rizzi
Don Mario Della Giovanna
Fotografie di Michele Ferrari e CMD
Articolo
In tempi di lock down tutti ci siamo, o siamo stati rinchiusi nelle nostre famiglie… non c’era altro da fare… e c’è chi ha riscoperto la bellezza di quelle relazioni, ma al tempo stesso la fatica.
Nella veglia di Pentecoste il Vescovo ha voluto tra le testimonianze, oltre a quelle dell’ambito medico e del lavoro, che si desse voce anche alla dimensione familiare: un racconto che quella sera mi aveva particolarmente colpito per la sua immediatezza, concretezza e intensità.
Mi sono chiesto allora che cosa ci azzeccasse la missionarietà con la dinamica familiare. Certo la famiglia ha una sua propria missione: “La missione della famiglia è strettamente connessa colla venuta all’esistenza di una nuova persona umana. La missione della famiglia è la genealogia della persona.”
Mi son chiesto tuttavia se qualcuno avesse riflettuto sulla relazione (possibile, stretta, impensabile) tra la missione e l’essere famiglia.
È possibile essere missionari in quanto famiglia?
Già qualche amico mi aveva riportato la propria esperienza di missione vissuta come famiglia: esperienze che hanno segnato e continuano a segnare il loro stile di essere famiglia.
Mi sono poi accorto che di questa cosa ne aveva già parlato anche il Vademecum dei Centri Missionari: “Occorre che ogni famiglia fondata sul sacramento del Matrimonio sia resa consapevole di questa sua dignità e di questa sua vocazione, che può essere esercitata nella vita quotidiana, in particolare nella trasmissione della fede ai figli, ma può giungere anche a una specifica chiamata ad gentes. Per grazia di Dio è iniziato da alcuni decenni in Italia un cammino di “famiglie missionarie”. Esse “offrono al mondo una preziosissima testimonianza cristiana, sempre e dovunque, ma in modo speciale nelle regioni in cui viene annunciato per la prima volta il Vangelo, oppure la Chiesa si trova tuttora ai suoi inizi, o versa in grave pericolo” (Apostolicam Actuositatem 11).
Le famiglie cristiane possono essere sia nella loro Chiesa di origine che in missione il “soggetto creativo” dell’evangelizzazione, proprio per la loro presenza nella vita quotidiana della gente, per la loro partecipazione alle vicende del lavoro, della casa, dell’educazione dei figli, della salute e della malattia, della vita sociale e politica che ogni famiglia attraversa.”
Ho chiesto a don Mario, dell’Ufficio Famiglia, di accompagnarci in questa riflessione con la sua esperienza.
Fateci caso. Nelle messe domenicali la prima preghiera dei fedeli è per tutta la Chiesa e solitamente recita: “Preghiamo per tutta la Chiesa: il Papa, i vescovi, i sacerdoti….”. Come mai appare solo il sacramento dell’ordine nei suoi diversi gradi e non il sacramento degli sposi? Come mai si identifica la Chiesa solo con il ministero dei Pastori? E l’ordo coniugatorum dove è andato a finire? E ancora, il matrimonio cristiano non costituisce l’ “essere chiesa””?
Abbiamo ridotto la stessa iniziazione alla vita cristiana e alla missione ecclesiale non solo ai bambini ma riducendo in forma privatizzata il sacramento del matrimonio. Di fatto esso viene vissuto come uno “stare insieme” dei due, un volersi bene ed un essere aperti alla vita.
Questa privatizzazione continuerà in seguito con la scelta del battesimo, della prima confessione/comunione e della cresima.
“Senza sposi non c’è Chiesa”: è Carlo Rocchetta che, nel suo libro così titolato, pone la questione cruciale della Chiesa e del cristianesimo in quanto tale oggi.
L’assenza di una pastorale familiare con e per la famiglia, l’assenza di auto-consapevolezza degli sposi cristiani del compito originale e specifico del matrimonio nella Chiesa e nel mondo e l’assenza di comunione tra pastori e sposi di una reale corresponsabilità contribuiscono all’impoverimento del Vangelo.
In Cristo Sposo, gli sposi ricevono il dono della Grazia – presenza permanente di Cristo – che li trasforma nella loro identità più profonda, rendendoli ministri nella Chiesa con un servizio specifico, originale che nessun’altra vocazione ha. Da qui sgorga la missione grande della dimensione coniugale e familiare sacramentale.
Missionarietà e Coniugalità, allora, non sono due aspetti giustapposti, ma uno dice l’essenza dell’altro e viceversa.
Questa missione degli sposi cammina parallela a quella del presbitero: due sacramenti distinti per costruire un’unica Chiesa.
Non è più sufficiente parlare di complementarietà, che si limita a considerare i laici sposi come longa manus; occorre rifarsi alla reciprocità, ovvero alla corrispondenza tra le due ministerialità, al punto che una non può bastare senza l’altra.
La missione di comunione degli sposi è totalmente diversa da quella del sacerdote, ma non si può viverle senza essere in collegamento l’una con l’altra in Cristo.
Don Mario Della Giovanna e don Massimo Rizzi