Missionarietà fa rima con… mobilità

Missionarietà fa rima con… mobilità

18 settembre 2020
Don Massimo Rizzi
Don Sergio Gamberoni

Articolo

Se c’è una cosa che i discepoli hanno imparato dal loro Maestro, è quello che oggi chiameremmo mobilità. Nei vangeli, dopo il lungo tempo della vita a Nazaret di cui non sappiamo molto, il Signore Gesù si lancia in un ministero che comporta una grande mobilità, tanto che la barca sembra essere la vera casa della comunità che si forma attorno a lui. Dopo aver condiviso o, nel caso di Paolo, ereditato quest’attitudine di estrema mobilità, possiamo rilevare come la Chiesa sia una realtà in continuo movimento. Non si tratta solo di viaggiare per terra e per mare e – per quanto ci riguarda – anche per cieli, ma il viaggio si fa indice di una disposizione interiore a vivere in continua disponibilità ad andare più lontano da ciò che già si conosce e si vive.

Ecco perché pensiamo che sia una rima facile quella tra missionarietà e mobilità, declinata in chiave migratoria.

Nei prossimi giorni la chiesa ci inviterà, con la celebrazione della Giornata Mondiale del Migrate e del Rifugiato a porre la nostra attenzione a questo tema, segnato oggi da una grande drammaticità, ma foriero al tempo stesso di speranza e di futuro, come lo è stato per i nostri genitori e i nostri nonni che hanno vissuto l’esperienza della migrazione, ed anche per i tanti giovani che ancora oggi compiono questa scelta di vita, a fronte della stigmatizzazione di cui sono coscienti.

Abbiamo chiesto a don Sergio Gamberoni direttore dell’Ufficio per la pastorale dei Migranti (nonché amico del CMD, e missionario per 12 anni in Bolivia) di aiutarci in questa riflessione, non solo in preparazione alla prossima giornata mondiale, ma anche per riscoprire come i Gruppi missionari non possono dirsi estranei alla testimonianza anche di fronte a quella che papa Francesco ci ha indicato come una delle priorità oggi per vivere la fedeltà alla testimonianza del Vangelo, alla nostra missione.

Missionarietà è in se stessa Mobilità. Ha la forma del cammino, del movimento: l’invito di Gesù a camminare dietro di lui (discepoli) e l’invio nel mondo ad annunciare e vivere il Vangelo (missionari).

È un’esperienza che nasce dalla strada, dalla piccola Cafarnao, crocevia delle genti, e dalla scelta di stile di Gesù a cui educa i suoi discepoli: non avere casa propria. Non è una critica alla stabilità, al lavoro, all’amore per un territorio, ma è l’urgenza di incontrare le persone, da visitare e incrociare sul loro cammino. Prioritario non è muoversi, ma incontrarsi. È possibile vivere gli uni accanto agli altri senza mai incontrarci. Di fatto indifferenti o in difesa rispetto alle vicende degli altri. Che appunto restano “altri”. Là dove non c’è dialogo, empatia, un minimo di comunione, anche l’umanità viene meno. Tante parabole suggeriscono l’urgenza di stili di vita diversi, di fare nuova la vita.

La mobilità delle persone oggi in Italia segna profondamente la nostra storia ed è una possibilità concreta di incontro. Ci sono persone che migrano nella nostra terra in cerca i lavoro o di protezione. Ancor più sono i giovani e le famiglie che oggi emigrano dall’Italia!

Quante speranze e titubanze al tempo stesso… Non si va a conquistare. Si spera di trovare accoglienza, dignità, possibilità di inserirsi.

Soprattutto nel contesto affollato delle grandi città metropolitane europee, ma anche nella fatica di allargare gli orizzonti delle nostre comunità più isolate a volte non sempre accoglienti, è la sfida, antica quanto l’uomo, di essere “fratelli”. Di riconoscere l’altro come parte della mia stessa storia.

È necessario superare barriere e rischiare legami. Non cedere alla logica della competizione, della paura, della convenienza o dell’esclusione. “Non è bene che l’uomo sia solo”. La missione è creare legami di fraternità! Esperienza a volte non facile nell’incontro tra i popoli, che si scontra con pregiudizi, disillusioni e ferite profonde. Va compresa la tanta fatica e resistenza a cui ci hanno portato le esperienze negative.

Eppure missionarietà è spiegare le vele e mettersi in viaggio, uscire da se stessi, gesto di coraggio, scelta di stile. Leggeri. Fiduciosi. Anche disarmati. Il Vangelo pare suggerire che è bene a volte sentirsi un po’ fragili, esposti e bisognosi dell’accoglienza dell’altro, può aiutare per rimettere in ordine le cose e restituire il giusto valore alle cose. Non restare bloccati dalla propria storia ma aprirsi alla speranza.

Anche la Chiesa oggi, piccolo segno di speranza nel mondo, per avere sapore di Vangelo è chiamata ad essere un po’ più fragile e coraggiosa. In uscita. Ospedale di campagna. Compagna di viaggio. Costruttrice di ponti per strade da percorrere insieme.

E qui abbiamo qualcosa da offrire: quei viaggi in paesi lontani da missionari, i legami creati, l’incontro con culture e religioni differenti, la presenza oggi nelle nostre città di cristiani che pregano e vivono la loro fede in modi diversi, anche tra gli stessi cristiani, si rivela una ricchezza. Una pluralità che ci permette di “essere uomini insieme”, tra dialogo e prossimità.

Don Massimo Rizzi e don Sergio Gamberoni