Suor Libanga, hai vissuto più di 20 anni qui in Congo, sei partita 10 anni fa e ora sei rientrata.
Cosa ti ha spinto a tornare in Congo?
Devo dire che in questi 10 anni ho vissuto a Marsiglia in Francia. Ho lavorato nella libreria e in altre attività come animare un gruppo di pensionati, portare la comunione ai malati, fare i servizi della comunità, rispondere al “Telefono SOS cristiano”, dove le persone particolarmente sole e che lo desideravano potevano chiamare semplicemente per parlare con qualcuno, per condividere i loro problemi o fare domande. E questo servizio lo facevo il sabato sera dalle 20 a mezzanotte.
Svolgevi molte attività in Francia, allora perché ritornare in Congo?
Il fatto è che abbiamo ceduto la libreria a tre professionisti perché non potevamo più continuare questa missione. Per grazia il Signore ha permesso che attraverso queste persone e i due bravi librai che sono rimasti, il carisma della Libreria Paolina continua nonostante la nostra assenza. Allora dovevo tornare in Italia ed era quello che pensavo di fare, per continuare lì l’apostolato in una città dove i superiori mi avrebbero mandato. Ma tre suore, ognuna a turno, senza sapere che questa proposta mi era già stata fatta da altre, mi disse di tornare in Congo visto che stavo lasciando la Francia. Così ho lasciato circolare nel mio cuore e nella mia testa la possibilità di tornare al Paese, perché pensavo che avrei avuto, nonostante l’età, essere di aiuto sia in comunità che in alcune attività apostoliche.
Hai appena compiuto 80 anni, non hai avuto paura di affrontare questa avventura?
Non tanto. Non so se è incoscienza, ma la possibilità di ritornare ha accresciuto in me il desiderio di poter dare nuovamente una mano secondo le mie possibilità. Se ho bisogno di medici qui ce ne sono di competenti, così mi sono lanciata. Ho fatto affidamento anche sulla presenza del Signore, perché Egli esprimesse la sua volontà attraverso l’invito delle mie sorelle e le mie superiore. Non sono partita da sola, affido al Signore questa avventura. È Lui che mi accompagna, che ci accompagna.
Nella comunità di Kinshasa ci sono diversi giovani, cosa pensi di dar loro alla tua età?
Nessuna pretesa di dare, di insegnare. Desidero anzitutto guardare, comprendere e accogliere la vita dei giovani per poi condividere quanto mi hanno insegnato l’esperienza dei miei 50 anni e più di vita religiosa, il mio bagaglio di conoscenze e di esperienza professionale. Tutto questo per annunciare Gesù con i mezzi di comunicazione sociale.
Dopo 10 anni di assenza, come hai trovato la città di Kinshasa e la comunità?
La comunità ha assunto un volto africano. In passato eravamo diverse suore prevalentemente italiane, ora su 19 membri, tra professe postulanti e aspiranti, ci sono solo due suore bianche. Questo cambia molto la vita comunitaria, soprattutto esternamente. L’esterno è più africano, mentre lo spirito del nostro carisma è lo stesso del passato.
Ho trovato Kinshasa molto più caotica di come l’avevo lasciata. Il traffico è così intenso che non avrei più il coraggio di mettermi al volante per guidare in città. Ho anche trovato nelle persone, nonostante tutte le difficoltà, la gioia di vivere, il dinamismo e il coraggio di affrontare le difficoltà del caldo, della fame, del lavoro, dei trasporti, ecc. Valori che non vedo in noi europei, nonostante i nostri standard di vita. Qui vediamo le persone sorridere facilmente a differenza dell’Europa. E fa molto bene vedere questo.
Quali sono i ricordi più belli che ti sono rimasti dopo più di 25 anni vissuti in Congo?
Ho parecchi buoni ricordi. Sono arrivata qui nel 1984 dopo aver lasciato il Canada, dove ho vissuto per circa 15 anni. Venivo da un paese estremamente freddo per ritrovarmi in un paese estremamente caldo. Ho vissuto diversi estremi: da molto ordinato e pulito a disordinato e sporco, dal più organizzato al più disordinato (secondo gli standard occidentali), dal più ricco al più povero, ecc. Ma qui mi sono sentita accolta e ho vissuto diverse esperienze apostoliche con persone fantastiche che mi hanno formata e lasciato tracce profonde nel cuore.
Ho conosciuto Paul Balenza quando era un giovane musicista ancora sconosciuto e insieme abbiamo condiviso una stretta e lunga collaborazione con padre Müller.
Avevo iniziato la Commissione diocesana per le comunicazioni sociali (allora chiamata diversa-mente) con un’équipe composta da padre José Moko, poi divenuto vescovo, la signora Kokolo, ora deceduta, un Mokambi, un giovane e altre persone. Con don Sebastiano Muyengo, divenuto pure lui vescovo, ho animato diverse serie di trasmissioni radiofoniche. Con Padre Aldo Falconi ssp, abbiamo dato vita a Radio Elikia e realizzato con il gruppo di donne “Liloba ya mwasi” (Paroles de femmes) alcune serie di trasmissioni radiofoniche che continuano tuttora.
Ho animato diverse sessioni di formazione, di iniziazione alle comunicazioni sociali sia a laici che a religiosi, a Kinshasa e all’interno del Paese. Ho formato il gruppo dei collaboratori e cooperatori paolini. Ha lavorato presso le Edizioni Paoline.
Infine, ho lavorato con molte persone e in diversi settori, sempre nel campo della comunicazione. Devo dire che 25 anni fa il mondo digitale e i social network non esistevano ancora e quasi nessuno sapeva cosa fossero i mass media.
Quindi, ho la memoria di un mondo, il mondo dei mezzi di comunicazione sociale allora quasi inesistente, ma in gestazione. Ho avuto la gioia di vivere questa tappa, senza rendermene conto e ringrazio il Signore per avermi dato il privilegio di viverla in Congo.
Cosa ti piace di più qui?
Mi ricordo – e lo penso ancora – di un aspetto che mi aveva impressionata: la bellezza e l’eleganza dei corpi delle persone e dei bambini. Il ritmo della danza come inciso nel loro corpo, che sa esprimere insieme gioia e dolore, per esempio durante un funerale, come nell’esuberanza di una grande festa. Noi europei non siamo capaci di esprimere, come voi sapete fare, questa armonia e completezza di un sentimento triste o gioioso. Ciò che ammiro è anche la capacità o la necessità di accogliere nella propria vita la dimensione spirituale di un Essere superiore a noi. Dio è presente nella vostra vita, Lui è un punto di riferimento. Che lo seguiate o no non lo so, ma lui non è assente. Amo la perseveranza, la resistenza specialmente quella delle donne, nei vostri impegni di vita familiare sociale e religiosa.
Cosa ti piace di meno?
Soprattutto il caldo, il disordine e lo sporco. Quando vedo per strada tutte queste bottiglie di plastica gettate ovunque, mi dispiace vedere la sconsideratezza e la noncuranza con cui si agisce. Inoltre il desiderio di apparire a volte mi sembra eccessivo, perché forse si trascurano aspetti più importanti.
Suor Libanga, tu sei arrivata pochi giorni prima della visita del Papa, quale è stato per te il valore di questa visita?
Mi ritengo fortunata di aver vissuto la visita del Papa con la popolazione. Ho gioito con la gente di Kinshasa per accogliere il nostro Papa. L’esuberanza e la gioia traboccavano ovunque. È stato bellissimo da vedere e vivere. Ciò che ho particolarmente apprezzato sono stati i messaggi del Papa. Non ha usato mezzi termini. Tutti i gruppi della società sono stati interpellati, politici, religiosi, adulti, giovani, ecc. non ha dimenticato nessuno. Tutti siamo stati invitati a vivere in coerenza secondo le nostre rispettive vocazioni e impegni.
Sei tornata per sempre o per un po’ di tempo?
Questa è una buona domanda. Desidero condividere la mia vita con voi, ma non ho il controllo del mio futuro. Lo affido al Signore sperando di restare il più a lungo possibile con voi.