La fede accade se ci si lascia smarrire un po’

La fede accade se ci si lascia smarrire un po’

Sono passati giorni dal mio rientro in Italia, quasi un mese. Ho l’opportunità forse per la prima volta, da quando sono tornata, di fermarmi e rileggere, rivedere con i pensieri quanto ho lasciato oltreoceano a Tubarao, nel sud est del Brasile, nello specifico nella regione di Santa Catarina.

Ho davvero l’occasione di dare nome al vissuto. Le mie parole nei racconti che ho condiviso con chi mi ha chiesto come fosse andata sono state un decimo di quanto i miei occhi hanno visto ma vorrei che anche solo con poco potessi testimoniarvi e donarvi parte del mio bagaglio pieno che è tornato in Italia con me. Cercherò per quanto possibile di dare linearità ai racconti ma vi assicuro che il bagaglio è tornato molto più pieno davvero.

C’è una prima parte del viaggio, il viaggio concreto e il viaggio che vivo ogni giorno nella mia quotidianità.

LA FORMAZIONE

L’esperienza formativa che mi ha aperto il cammino è iniziata il 12 febbraio 2022 (questa la data della prima parte del viaggio che vi dicevo). Credo, allo stesso tempo, che qualcosa dentro di me si stesse già muovendo da prima di allora ma le mie orecchie quel giorno hanno sentito più volte ripetere queste parole: dono, braccia aperte, riprogrammare, stare con, rimboccare le maniche, creare ponti, condivisione e tante altre. Qualcosa mi stava chiamando, la mia curiosità verteva tutta nel ricercare e ritrovare la meraviglia. Da allora il percorso formativo e gli incontri con il Centro Missionario Diocesano sono proseguiti e io, trepidante, cercavo di interrogarmi e di restare in ascolto, di ricevere e di trovare occasione all’interno dei gruppi di persone che si formavano con me di lasciare anche io una traccia della mia storia.

Qual era la forma di missione che avrei potuto lasciare se avessi deciso di partire? Come può accadere che anche questa bellissima esperienza che la vita mi offre diventi qualcosa nel tempo e non solo passeggera?

Tutto mi stava impregnando di bellezza e ancora non ero partita. Le testimonianze ascoltate sono state tante e sono grata di ogni parola ricevuta. Ho fatto tesoro di ogni consiglio e ho fatto mio quello che più sentivo vicino a me: vivere a pieno l’esperienza, sentirla unica, stare, conoscere e buttarsi, prendersi del tempo per creare legami.

Durante il percorso arriva poi il momento di scegliere e con la scelta anche la destinazione. Ho scelto il Brasile perché era una meta lontana, in una parte del mondo che ancora non avevo visto e che mi affascinava ma, ancor di più, ho inserito come preferenza la scelta di Tubarao perché la richiesta di bisogno che arrivava da lì era molto simile a quello che già faccio quotidianamente qui: stare con i bambini. Non volevo addentrarmi in richieste più alte visto che già sarei andata in una realtà differente dal quotidiano.

I momenti belli prima della partenza sono stati tanti. Ho nel cuore gli abbracci, le parole e ogni gesto ma, uno degli aspetti che più mi hanno accompagnato a vivere con serenità la partenza è stato poter condividere con le ragazze che sarebbero poi partite con me momenti di convivialità e semplicità che ci hanno permesso di conoscerci e gradualmente affidarci un po’ le une alle altre.

L’ARRIVO IN BRASILE

Le suore Sacramentine dalle quali eravamo ospiti, ci hanno fin da subito riempito di calore e affetto e ci hanno fanno sentire parte della loro grande famiglia comunitaria senza farci mai mancare nulla. Abbiamo conosciuto e, in parte, collaborato all’interno della scuola di Lar da Menina a Tubarao, abbiamo potuto vivere le proposte del centro della Cattedrale, quartiere di Tubarao, abbiamo incontrato i volontari della parrocchia con i quali abbiamo visitato i dintorni di Tubarao e abbiamo avuto la possibilità di visitare diverse scuole di ogni ordine e grado e i vari progetti sul territorio. Abbiamo portato un po’ delle nostre passioni come la pittura e la musica offrendole come proposte di laboratorio ai bambini che frequentano la scuola di Lar da Menina. Pennelli, colori, balli e tele sono stati gli ingredienti che hanno permesso a bambini e bambine di scoprirsi, sperimentare e fantasticare liberamente. Siamo state presenti in diversi tempi e in diversi spazi come durante la catechesi dei bambini, durante le messe della comunità, abbiamo visitato scuole e progetti del territorio anche nel ramo della disabilità e dell’adolescenza. Nel nostro donare abbiamo anche tanto ricevuto. Dai loro occhi abbiamo imparato che si può stare a guardare senza necessariamente troppo fare e che la semplicità ha tanto valore.

 

GLI INCONTRI

Incontrare le famiglie più fragili è stato uno degli aspetti più significativi della nostra esperienza tanto da toccarci nel profondo. Abbiamo portato loro cibo, bevande e beni di prima necessità ma ciò di cui in realtà ciascuna di loro necessita è essere ascoltati e trovare qualcuno che possa accogliere senza giudizio i racconti intrisi di sorrisi, lacrime e fatiche. Sono entrata in molte case e così in molte storie e in ognuna di queste sono uscita emozionata, scossa e diversa. Una casa in particolare mi ha fatto vivere un’emozione che mai avevo vissuto prima e che anche a parole fatico a esprimere. È stato un misto tra rabbia e senso di impotenza. Avrei voluto poter aiutare e sistemare ogni centimetro di quel luogo ma non mi era possibile, mi si chiedeva solo di accettare e sperare che una giovane famiglia trovasse la forza di migliorare la propria quotidianità, il proprio vivere.

La grande possibilità di incontrare e di ricordare quali siano davvero gli sguardi belli della vita non sarebbero stati possibili se non avessimo avuto la fortuna di incontrare e conoscere molti volontari presenti sul territorio che hanno ritagliato parte del loro prezioso tempo per accompagnarci in nuovi territori così da scoprire e vedere diversi aspetti della loro cultura, delle loro usanze, delle loro tradizioni. Siamo state a Florianopolis, alla città di Laguna, al santuario di Beata Albertina, al nuovo santuario dedicato alla Madre Fondatrice Gertrude Comensoli e a vedere le meraviglie dell’oceano.

 

QUALI FATICHE

Le nostre giornate avevano ritmi scanditi da tempi differenti da quelli a cui eravamo abituate in Italia, le suore ci hanno permesso di darci del tempo per noi che se apparentemente poteva apparire lento e mal utilizzato in realtà poi è apparso prezioso. A una settimana di permanenza in Brasile ho iniziato ad aver sempre meno parole da scrivere sul diario la sera, molte più riflessioni che non trovavano pace e che se anche affidate nella preghiera intensa e quotidiana o in condivisione con le altre ragazze non rispondevano alla domanda imperterrita che si poneva giorno e notte dentro di me: e io, per cosa sono stata chiamata? Cosa mi si chiede di dare qui? Non smettevo di stupirmi del bello e degli incontri, del minuscolo spiraglio di sole che scaldava i dieci gradi invernali del Brasile e perfino della pioggia che per giorni batteva imperterrita sul tetto di casa ma, sempre mancava un tassello al completamento del puzzle, del mio essere lì. E poi qualcosa mi ha permesso di accorgermi che in fondo le aspettative sbagliano, che è davvero necessario mettersi in discussione, che la luce era già presente in ogni cosa. Non ero chiamata a riempirmi le giornate e continuamente al fare ma bastava tenere la testa alta per accogliere con gli occhi giusti. Forse avrei preferito fino ad allora potermi dedicare di più nella preparazione di proposte per i bambini ma quella non era davvero la necessità. La gente di quella città voleva raccontarmi la vita e io ero chiamata semplicemente a stare in ascolto. E così mi sono persa e insieme accorta che la vera fede accade se ci si lascia smarrire un po’. Questi interrogativi sono stati da allora colmati.

 

COSA HO PORTATO A CASA

Non ho avuto possibilità di tornare in Italia e lasciar decantare quanto avessi vissuto. Il tempo era cambiato (e non solo il jet lag), lo spazio era cambiato e anche tanto di me. La fede per esempio. In Brasile ho avuto l’occasione di pregare tanto e di pormi nella preghiera con un cuore differente, con una cura differente. Ho affidato al Signore storie e persone vicine e lontane. Ho affidato al Signore la me che è stata e la me che sarà.

Mi è stato chiesto se avrò piacere a vivere nuovamente un’esperienza simile a quella vissuta altrove nel mondo ma non posso ancora sapere la risposta. Piuttosto so e sono ormai consapevole che posso vivere la stessa chiamata missionaria e di testimonianza qui, ogni giorno.

Accade, da quando sono tornata, che durante le giornate sia il Brasile a tornare da me. Accade che mentre sono in ascolto durante i colloqui dei genitori, nella scuola dove lavoro, il mio orecchio e la mia attenzione sia diversa da prima della mia partenza: non importa il conciliare il tempo che scorre con tutto l’altro fare, importa lo stare e il come stare davanti a chi ha bisogno in quel momento di raccontare e condividere fragilità e pensieri.

Ritengo sia importante e necessario sostenere esperienze come quella che ho avuto la fortuna di vivere perché qualsiasi occasione di incontro con l’altro è sempre generativa di vita nuova, è sempre fertile di una smisurata scia di benessere e amore. Ciascun uomo ha gli strumenti per creare scenari possibili in cui in ogni contesto di vita reale si possano creare accoglienze e interazioni. Mi sono persa per accorgermene e spero possiate farlo anche voi.

Tornare in Italia è stato apprezzare ancora di più chi mi atteso e sostenuto prima del viaggio e durante e di cui sarò sempre grata.

 

Valentina Santoro

 

Ps. Avere l’opportunità di ascoltare una nuova lingua, in questo caso quella portoghese, è stato un altro dono! Un’ultima frase che vi riporto recita così e fa parte di un ringraziamento che ho scritto e letto durante il mio ultimo giorno di permanenza in Brasile: eu acredito no poder dos encontros e no quanto podemos dam um ao outro(..)!