Missionarietà fa rima con… Sobrietà
30 maggio 2020 – Don Massimo Rizzi
Don Cristiano Re
Fotografie di Michele Ferrari
Articolo
Sobrietà dal vino o sobrietà divina? Nella festa di Pentecoste, uno dei dubbi degli astanti nei confronti dei discepoli era stato quello che fosse stato un avvinazzamento collettivo che aveva portato i discepoli a palare in più lingue.
Bastasse un po’ di buon Valcalepio non solo per sciogliere la parola, ma per far parlare correntemente una lingua, sapremmo come risolvere uno dei primi problemi che tutti i nostri missionari hanno dovuto affrontare all’inizio del loro cammino in terra di missione.
Ma se di sobrietà dal vino non si parla certo in occasione della Pentecoste, la discesa dello Spirito Santo può aiutarci a entrare in quella sobrietà divina alla quale ci si affeziona con più facilità, anche solo per non vergognarsi nel vestire, nell’utilizzare mezzi (automobili, computer e altro) che stonano in un ambiente dove la fatica non è certo quella di vivere il valore della sobrietà divina quanto piuttosto quella dal vino e affini, nel quale si affogano preoccupazioni e fatiche, dolori per non riuscire a portare a casa qualcosa da mettere in bocca ai propri figli.
Abbiamo chiesto a chi, un po’ per stile personale e un po’ per il ministero che gli è stato affidato, è chiamato in diocesi a sostenere, diffondere ed attualizzare la praticabilità di un valore come la sobrietà.
Le sue parole diventino uno stimolo perché quella sobrietà tanto osannata da parte nostra nei confronti dei missionari e delle terre di missione, possa tornare ad essere caratteristica distintiva della nostra terra.
Tentiamo tutti di abitare al meglio questo tempo che dopo averci ridotto per tanti aspetti all’essenziale, continua a chiederci di fare i conti con l’essenziale. L’essenziale rappresenta ciò che è necessario per vivere, ciò di cui abbiamo bisogno per preservare, conservare e riaccendere la nostra umanità. In quello che abbiamo vissuto tutti siamo chiamati ad intravvedere un essenziale dal quale ripartire.
Capiamo che questo non è affatto automatico e che a volte non sono sufficienti neppure grossi traumi perché alcuni nostri modi di porci e di vivere possano davvero essere migliori di prima. Infatti, ad oggi non riesco a vedere chissà quali cambiamenti o miglioramenti dentro alle donne e agli uomini in questa prima ripresa dopo il lock down.
Penso a me e capisco che siamo tutti bravi a parlare quando ci sentiamo immersi nella disperazione, ma il vero coraggio è farlo quando, scampato il pericolo, abbiamo il coraggio di farlo ancora.
Ed allora è per questo che tra le domande su ciò che è essenziale per ripartire in modo diverso da prima ci sa chiaro che la parola essenzialità si traduca nella parola sobrietà.
Cappella della Madonna di Vitaleta – Valdorcia – Toscana
Mi chiedo se abbiamo compreso il valore, la necessità e anche la voglia di sobrietà?
Anzitutto a partire da un atto di onestà ci diciamo che soltanto chi si trova nelle condizioni di disporre molto più del necessario e quindi conosce e pratica l’eccesso può avvertire la necessità di assumere un comportamento più sobrio. Abbiamo appena concluso la settimana Laudato si con il quinto anniversario di questa grande enciclica che certamente ribadisce in più passaggi l’urgenza ed il valore di quella che Papa Francesco chiama una virtù contemporanea. In uno dei suoi interventi ai giovani dice “Cercate di essere liberi nei confronti delle cose. Così come è necessario il coraggio della felicità, ci vuole anche il coraggio della sobrietà”.
La sobrietà, infatti, non è solo una limitazione più o meno volontaria dei beni terreni, che pure è necessaria se non si vuole distruggere il mondo, ma è uno stile di vita, improntato sul rispetto verso gli altri e quando parlo degli altri parlo di tutto il mondo e non solo dei “nostri” altri.
È il contrario di quel delirio di onnipotenza e dominio per cui ci si permette tutto, ignorando e calpestando i diritti e le libertà del prossimo. Capiamo bene che la sobrietà non è virtù che riguarda unicamente i beni e le ricchezze ma ancora di più che tocca l’interezza dell’anima e della vita personale e civile.
Quartiere popolare nella cittadina di Agnibilèkrou, Costa D’Avorio
La sobrietà aiuta a costruire la giustizia, perché decide e sceglie secondo un’equa misura ed è rispettosa dei diritti e soprattutto dei doveri che si hanno verso il prossimo. Chi agisce con sobrietà non è smodato, eccessivo, ingordo, sregolato, ma si gode la sua semplicità in tutto, perché sa ridurre, recuperare, riciclare, riparare, ricominciare.
“La smania del nuovo“, invece, è quella che spinge a voler ricercare qualcosa che non si sa che cosa sia, a non accontentarsi mai di quello che si ha già, a non godere fermamente delle cose fatte. Tutto ciò contiene i semi dell’infelicità e rende estremamente complesso il vivere quotidiano.
D’altra parte, il volere più di quello che si ha è un’esigenza legittima dell’essere umano, laddove essa è fonte di un miglioramento della qualità della vita. La trappola scatta quando si desidera di più senza godere appieno di quello che nel frattempo si è raggiunto. Cristopher Carlson, scrittore svedese, osserva che “…Se pensi che di più sia meglio, non sarai mai soddisfatto… ricordati che anche se ottieni quello a cui stai pensando, non sarai più soddisfatto di prima, perché continuerai a desiderare sempre di più…“.
Alla luce di ciò, il nostro benessere passa attraverso una riscoperta della sobrietà e della semplicità, che consentono di apprezzare quello che si è, quello che si ha e quello che si fa e si costruiscono sistemi di giustizia che non dimenticano che il bene comune è tale solo se di tutti e non solo di qualcuno.
don Massimo Rizzi, direttore del Centro Missionario Diocesano
don Cristiano Re, direttore dell’Ufficio Diocesano per la Pastorale Sociale e del Lavoro